Il progetto che dovrebbe legare fisicamente Sicilia e Calabria torna a impantanarsi tra carte bollate e contrasti istituzionali. Stavolta, a tirare il freno è la Corte dei Conti, che ha respinto la delibera del Cipess, gettando benzina su un conflitto che va ben oltre l’analisi tecnica dell’infrastruttura. I magistrati contabili, più che dare un parere, hanno acceso un riflettore sulle fragilità procedurali del dossier.
Documentazione carente e dubbi sulle coperture: i rilievi della magistratura contabile
Le carte non tornano. Mancano firme fondamentali, la stima dei flussi di traffico appare ottimistica, e la compatibilità con le norme ambientali europee sembra più presunta che verificata. La Corte sottolinea in particolare come il Cipess, definito organo politico, non avrebbe l’autorevolezza necessaria per dare l’ok a un atto di questa portata. Le incertezze sulle fonti di finanziamento e sulla governance aggiungono ombre a un piano già segnato da interrogativi mai sopiti.
Eppure, il rigetto non è apparso come un colpo di grazia irrimediabile, quanto piuttosto come un avvertimento: serve un nuovo passaggio, più trasparente, più solido. Tuttavia, il momento scelto – nel pieno del dibattito sulla riforma della giustizia – insinua il dubbio che la questione sia diventata strumento di pressione, non più semplice controllo contabile.
Palazzo Chigi reagisce: “Attacco alla sovranità politica”
Giorgia Meloni non ha lasciato spazio all’ambiguità. Per la premier, quella della Corte dei Conti è una forzatura istituzionale che mina il principio democratico. Ha difeso la legittimità del percorso approvato dal Parlamento, definendo le critiche come pretestuose e obsolete, ironizzando sull’osservazione relativa all’invio digitale dei documenti: “Siamo nel 2025, non nel secolo scorso”.
Anche Matteo Salvini ha scelto il pugno duro. Il ministro delle Infrastrutture ha definito il diniego un sabotaggio orchestrato contro lo sviluppo del Sud e ha rilanciato la linea dell’ostinazione: il ponte si farà, anche forzando il quadro normativo esistente. Una nuova delibera o una dichiarazione di “opera strategica di interesse pubblico superiore” potrebbero riaprire il gioco.
Il ponte come terreno di scontro politico: progresso o prepotenza?
Quella che doveva essere un’impresa ingegneristica si è trasformata in un campo di battaglia tra poteri. Il centrodestra rivendica l’opera come chiave per ridurre l’isolamento del Meridione e rilanciare l’economia locale. Le opposizioni, invece, denunciano un approccio arrogante e affrettato, una corsa al consenso che ignora le regole.
Elly Schlein parla di “forzature pericolose” e accusa l’esecutivo di voler riscrivere a piacimento le regole del gioco. Il Movimento 5 Stelle liquida la vicenda come l’ennesimo episodio di un feuilleton senza fine, dove si annuncia molto e si realizza poco. Dietro il linguaggio istituzionale si muove una tensione più profonda: quella tra chi rivendica il primato della politica e chi insiste sulla necessità dei contrappesi.
Lo scenario attuale: cantiere fermo, attese congelate
Per almeno trenta giorni non si muoverà nulla. La Corte dei Conti dovrà dettagliare per iscritto le motivazioni del rifiuto. Solo allora sarà possibile capire se si potrà ripartire con alcune correzioni o se l’intero iter dovrà subire una riscrittura. Intanto, tutto è sospeso: dalle procedure espropriative ai contratti di lavoro. Oltre 4.000 candidature raccolte da Eurolink restano chiuse nei cassetti, e le assunzioni vengono rinviate a data indefinita.
La legge consente comunque all’esecutivo di procedere anche in presenza di un parere negativo, ma ogni passo falso rischia di trasformarsi in un boomerang politico. Il punto non è solo se il ponte si farà, ma chi deciderà come e quando farlo. La sfida ha ormai smesso di essere solo ingegneristica: è diventata una prova di forza istituzionale.
 
			



