Nel cuore dei Balcani, tra memorie di guerra e incognite future, la Croazia compie una scelta che segna una svolta: dal gennaio 2026, il servizio militare tornerà obbligatorio per i giovani uomini. Un ritorno alle armi che interrompe una pausa lunga diciassette anni e rianima un dibattito infuocato sul concetto stesso di sicurezza.
La legge, approvata dal Parlamento con una maggioranza netta (84 voti favorevoli su 151), prevede un addestramento di base di due mesi per ogni diciottenne di sesso maschile, a partire dai nati nel 2007. Le donne, invece, potranno aderire volontariamente. Chi si dichiara obiettore di coscienza avrà la possibilità di optare per un servizio civile alternativo.
Una mossa difensiva o un ritorno al passato?
Dietro questa decisione c’è la preoccupazione crescente che attraversa l’Europa orientale. Le tensioni al confine con l’Ucraina, le manovre militari russe e il timore di nuove destabilizzazioni nei Balcani hanno riacceso l’allerta a Zagabria. Il ministro della Difesa, Ivan Anušić, ha parlato apertamente della necessità di “educare i giovani a reagire in situazioni di crisi”. L’obiettivo dichiarato? Formare cittadini pronti a intervenire in caso di emergenza, rafforzando una riserva militare dormiente.
Ma la decisione non si limita a una semplice precauzione. È anche un messaggio politico chiaro: la Croazia intende dimostrare che non darà mai più per scontata la pace, né delegherà ad altri il compito di garantirla. L’adesione alla NATO, celebrata nel 2009, non basta più a offrire certezze.
Le critiche non mancano: accuse di sessismo e militarismo
I primi a insorgere sono stati i partiti di opposizione, che hanno bollato la riforma come un rigurgito nostalgico d’altri tempi. In particolare, la scelta di coinvolgere obbligatoriamente solo gli uomini è stata definita “anacronistica e discriminatoria” da molti gruppi progressisti. Alcuni movimenti pacifisti, invece, temono che il ritorno alla coscrizione normalizzi una cultura bellicista proprio mentre il continente avrebbe bisogno di soluzioni diplomatiche.
L’esecutivo, però, difende la misura anche sul piano sociale. La leva, sostengono, offrirà ai giovani strumenti di disciplina, responsabilità e appartenenza, con un compenso di 1.100 euro mensili e incentivi nei concorsi pubblici. Un investimento, insomma, nella costruzione di una nuova coscienza civica.
Un trend continentale: chi mantiene ancora la leva in Europa
La Croazia non è sola. Negli ultimi anni, diversi Paesi hanno rispolverato la leva obbligatoria o introdotto nuove forme di servizio nazionale. In Svezia, la coscrizione è tornata nel 2017, comprendendo anche le donne. La Norvegia ha fatto lo stesso con un modello di parità di genere. In Finlandia, Austria, Grecia, Cipro, i giovani uomini continuano a essere arruolati, spesso con possibilità alternative di servizio civile. Lituania, Estonia e Lettonia hanno mantenuto forme di leva selettiva, mentre la Germania discute una riforma per ampliare il reclutamento volontario.
Ogni Stato risponde alle proprie paure, ma il segnale è comune: la stagione della smilitarizzazione sembra archiviata. Il ritorno della coscrizione si intreccia con un clima continentale di crescente instabilità, dove l’idea di “difesa europea” diventa sempre più concreta e condivisa.
Diplomazia in ritirata?
Resta una domanda aperta: il ritorno alle armi rafforza davvero la sicurezza o rischia di infiammare ulteriormente gli animi? In un’Europa che assiste al riarmo progressivo, dalla Germania alla Francia, passando per i Paesi baltici, le strategie difensive sembrano ormai privilegiare la forza rispetto al dialogo.
La scelta croata, in questo senso, è emblematica. Non solo una mossa preventiva, ma un atto simbolico: la pace non viene più affidata solo alla parola, ma anche alla preparazione militare. Una svolta che obbliga l’intera Unione a riflettere sul proprio futuro.
 
			



